Don’t call me Centosettantacinque
Tra omofobia tedesca e suggestioni anni ‘90
Se fossi nato in Germania un centinaio di anni fa, probabilmente sarei stato chiamato Hundertfünfundsiebziger — difficile da pronunciare, certo, ma forse anche più difficile da sentire.
Letteralmente intraducibile, questo termine era legato al numero 175 ed era un modo poco carino di appellare gli omosessuali (maschi, chiaramente).
Era il “frocio” dell’epoca, insomma.
175 era l’articolo del Codice penale tedesco che faceva riferimento all’omosessualità, ma non solo: anche alla prostituzione, ma non solo: anche alla pedofilia, ma non solo: anche ai rapporti sessuali con il bestiame. Così, tutto nello stesso calderone.
L’articolo 175 è entrato in vigore nel 1871, lo stesso anno dell’Unificazione tedesca — sì, lo stesso anno: criminalizzare l’omosessualità era evidentemente una priorità indifferibile del secondo Reich.
Seguitemi con un po’ di storia, che poi vi spiego cosa c’entra con oggi.
Già prima della fine del secolo l’articolo venne aspramente criticato dai riformisti, tra cui l’SPD (il partito socialista tedesco). L’effetto fu lo stesso di quando, nei primi 2000, Grillini chiese di rendere incostituzionale la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale, ovvero: nessuno.
Nessuno tranne che nella Prussia socialista di Otto Braun e in particolare a Berlino, che nei primi del Novecento divenne capitale europea dell’omosessualità e permise un’esplosione di libertà culturale che portò, tra le altre cose, alla fondazione del primo “gay magazine” al mondo: Der Eigene.
Flash forward all’ascesa del Nazismo: Der Eigene viene spazzata via, così come i 10.000 omosessuali (maschi, chiaramente) sbattuti nei campi di concentramento col triangolo rosa. L’articolo 175 ottiene un upgrade tale per cui diviene punibile anche solo masturbarsi in presenza di un altro uomo.
Un bizzarro livello di dettaglio per dei legislatori eterosessuali, ma passiamo oltre.
Per inciso: affinché lo sterminio degli omosessuali venisse riconosciuto dal Parlamento Europeo abbiamo dovuto aspettare il 2005, lo stesso anno in cui in Italia ci si scannava sulle unioni civili — i PACS, che nostalgia — che comunque non avremmo visto fino a quattro anni fa.
Anno Domini 1988: finalmente l’articolo 175 viene fatto detonare, ma solo nella Germania dell’Est (quella sotto il controllo sovietico: ironia della Storia).
Sei anni dopo, nel 1994, l’omosessualità viene definitivamente depenalizzata nella Germania riunita.
Insomma: anche se fossi nato in Germania nel mio onesto 1992 sarei stato ancora per due anni, di fatto, un Hundertfünfundsiebziger.
La storia dell’articolo 175 sarebbe sufficiente a rendere il 17 maggio (17.5) una data perfetta per celebrare la Giornata Internazionale contro l’Omofobia, ma c’è di più.
Per una curiosa coincidenza, lo stesso giorno nel 1990 l’Organizzazione mondiale della sanità ha derubricato l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali (le associazioni americane di psichiatria e psicologia ci erano arrivate 15 anni prima, ma questa è un’altra storia). Peraltro, lo stesso giorno nel 2009 la Francia è stata il primo Paese al mondo ad estendere lo stesso trattamento alle persone transgender.
Fatto sta che dal 2005, grazie anche al lavoro dell’attivista parigino Louis-Georges Tin, si celebra l’IDAHOBIT, International Day Against Homophobia, Transphobia and Biphobia.
Sì, è un nome lungo, perché sono tante e variegate le persone coinvolte. È il prezzo dell’inclusività: stacce.
Transfobia e bifobia sono state aggiunte rispettivamente nel 2009 e 2015. Oggi alcuni propongono nomi ancora più inclusivi, che comprendono ad esempio l’asessualità e l’intersessualità.
Il 17.5 è un’occasione per ricordarci di tutte le vittime passate, presenti e future di violenza, discriminazione e repressione nella comunità queer — tra cui le decine di migliaia ingiustamente condannate dall’articolo 175, ma soprattutto le decine di migliaia che ancora oggi soffrono nel mondo a causa del loro orientamento sessuale, della loro identità / espressione di genere o delle loro caratteristiche sessuali.
In una manciata di Paesi, ad esempio, l’omosessualità è ancora un reato potenzialmente punibile con la morte.
In una manciata di Paesi europei, ad esempio, non vi è ancora il matrimonio egualitario né una legge contro l’omo-bi-transfobia, né un riferimento esplicito alle persone transgender in fatto di normativa antidiscriminatoria.
Tipo in Italia, per capirci.
Quest’anno, in particolare, il nostro pensiero va a tutte quelle persone della comunità LGBTQI+, soprattutto i giovanissimi, che si trovano in situazioni di difficoltà o pericolo a causa della quarantena, ad esempio perché costrette in un ambiente domestico tossico.
Non possiamo uscire di casa a manifestare, ma la lotta alla queer-fobia non si ferma:
cosa possiamo fare?
Leggere, educarci, guardare video e documentari, visitare pagine di divulgazione e partecipare a questa campagna del Cassero LGBTI Center. Se siete allies chiedete alle persone queer intorno a voi come sperimentano la discriminazione e cosa potete fare in merito nel quotidiano.
Ah! Non vorrei qualcuno arrivasse a fine articolo pensando che i tedeschi sono brutti e cattivi. Nel giugno 2017 (il Pride Month, non a caso) il Bundestag ha approvato una legge che risarcisce, per un totale di 30 milioni di euro, gli individui colpiti dall’articolo 175.
Che dire, danke schön.
Buon 17 maggio a tutt*!
Dott. Stefano Verza | Instagram | Facebook | Web